Il giorno prima di andare al meeting aziendale, il primo della mia vita, ero tutta un mix di angoscia e risentimento preventivo. Immaginavo scene di indottrinamento simili a quelle di Arancia Meccanica ricoperte da una glassa pop di finto entusiasmo e divertimento, utile per persuaderti in modo ancor più profondo e persistente. Quando sono tornata dal meeting aziendale ero rilassata, contenta, anche più motivata. Insomma, c'ero cascata con tutte le scarpe.
Nonostante frasi come “Ragazze, in questo video c'è lui - Il capodeicapiditutticapi (un signore simpatico e gioviale, dall'aspetto gradevole, ironico e paterno) - sentirete la sua voce, che è inconfondibile” seguite da un video in cui, alla fine, per condizionamento, cominci a considerarlo bòno e adorabile pure tu, o frasi come “lavorando per noi state cambiando il mondo”, mi avessero fatto drizzare le antenne, l'atmosfera pop, felice, rilassata e colorata di quel giorno m'aveva indorato la pillola e, come da manuale, me la sono bevuta per bene. Scema.
Ora, c'è una riflessione importante da fare a ridosso di quest'esperienza, in cui, ahimè, ho capito che non basta aver studiato Foucault per non inciampare in ogni dispositivo che ti mettono sotto i piedi.
E' impressionante il fatto che il modo in cui ci fidelizzino non si radichi solo nei nostri sensi di colpa (del tipo “quest'azienda sta provando a salvare il mondo, nel suo piccolo, boicottando tutto quello che non sia assolutamente etico e green E DUNQUE TU o sei con noi o sei una sozza inquinatrice che coopera con i colossi multinazionali che disboscano l'Indonesia, uccidono gli autoctoni, fanno estinguere le scimmie. Stai con noi? Figo. Ma occhio che fra due mesi ti scade il contratto”) o nel culto paterno del capo figo, divertente, fricchettone e assolutamente etico (tanto perchè così, il giorno in cui non ti rinnoveranno il contratto, potrai avere anche il lusso di portarti dietro il senso di abbandono da parte della tua coloratissima famiglia e del tuo idolo-mito-padre spirituale che ora d'improvviso non ti vuole più bene...) quanto piuttosto in chi, come te, lavora in contesti precari e letteralmente “vacillanti”.
E' un procedimento talmente fine che fa sì che il dispositivo che fa da collante tra le lavoratrici, siano le lavoratrici stesse.
La formula è semplice: prendi delle coetanee, una da ogni parte d'Italia, le mescoli insieme per due giorni (il fattore flash-mob è importante. Non sia mai che al terzo giorno queste qua comincino a sindacalizzarsi l'una con l'altra...) in un contesto da gita scolastica: falle uscire, mangiare assieme, dormire assieme, fare giochi assieme...e vedrai che poi qualunque cosa dirai loro se la berranno. Prendi le simpatie, le relazioni a tempo determinato, l'armonia giocosa che può nascere in quel contesto e usala a loro insaputa come messaggio subliminale, come azione fidelizzante. Vedrai che poi se lo scordano tutte che tra loro solo una ha il contratto non in scadenza, solo una sa che non verrà cacciata dalla famiglia, solo una sa che potrà continuare ad avere uno stipendio. E tu sei lì, mentre ti parlano dell'azienda, ti spiegano come funziona ogni cosa, che capisci, annuisci, sei contenta perché riesci finalmente a sentirti meno eterodiretta nel fare le cose; sai perché una cosa funziona in un modo e una in un altro, non ti senti un ingranaggio. Ogni tanto ti torna in mente che appena ti scade il contratto tutto questo non avrà più senso. Anzi, servirà solo a frustrarti di più. Ma poi ti scatti una foto con le tue coetanee e passa tutto.
Pare sia anche questa la femminilizzazione del lavoro: care aziende, se le relazioni tra le lavoratrici possono scardinarvi, usatele a vostro uso e consumo. Anzi, coltivatele voi, come una coltura di batteri in vetrini piccoli piccoli, che potete controllare.
E ora scusate, basta discorsi seri...vado a correre tra le margherite...prima che mi scada il contratto.
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