martedì 26 aprile 2011

Perfettamente inconciliabili. Voci dal workshop su lavoro e conciliabilità agli Stati Generali della Precarietà

Ad un settimana dalla discussione all'interno degli Stati Generali della Precarietà, riprendiamo alcuni spunti interessanti che hanno strutturato il dibattito fra le donne (...ma c'erano anche uomini) il 16 e 17 aprile, presso Generazione P_ Rendez-Vous a Roma.
La riflessione, che prende avvio dal piano per l'occupazione femminile Sacconi-Carfagna si pone fin da subito come obiettivo la ripresa dei propri desideri, focalizzandosi poi sulle possibili modalità di uno sciopero precario. Il Piano viene contestato per il suo stampo familista, per il fatto che si riferisca alle donne solo in quanto madri - nel testo, le donne senza figli vengono chiamate “persone isolate”. Nel pieno elogio dei valori della famiglia, della donna-madre, dei nonni, le donne acquisiscono diritti come lavoratrici solo nel momento della loro maternità. Che si tratti di una reazione ideologica, un tentativo di ricollocare le donne “nel solco” proprio mentre la società va in un altro senso, portandoci fuori casa, verso nuovi diritti e nuove esigenze? (e inoltre, che cosa ne è dell'impossibilità materiale e concreta con cui chi voglia far figli oggi è costretta/o a fare i conti?)
Tale approccio mostra tutta la sua contraddittorietà nel momento in cui si guarda verso il lavoro delle prostitute, il cui diritto alla maternità sembra non essere riconosciuto dal sistema di assistenza sociale ai minori. La stessa questione della conciliazione si adagia su questo piano familista.
Il lavoro di cura, demandato sempre e comunque alle donne, siano esse italiane o immigrate, pagate o non pagate, non si sgancia dalle tassonomie tradizionali, spostando sulle donne gli oneri sociali di cui dovrebbe farsi carico il welfare statale (non è da sottovalutare il fatto che una lavoratrice pubblica costa allo Stato in garanzie e oneri sociali molto più di una donna che lavora in casa). Proprio perchè ripropone sotto nuove vesti la divisione sessuale del lavoro, il problema del rapporto tra datrici di lavoro italiane (anche se va sottolineato come la crisi abbia escluso dal mondo del lavoro e reinserito nel lavoro di cura non pagato, ma anche come colf e badanti, il 28% delle italiane) e straniere – che porta alcune a parlare di inclusione differenziale (per questo razzista) - si carica di questioni dirimenti e centrali per il femminismo. Infatti, con la Bossi-Fini si istituzionalizza la gerarchizzazione delle relazioni fra donne, mentre permane la divisione sessuale tradizionale del lavoro.
Molto del lavoro di cura (ma anche molte delle attività “relazionali” connesse al mondo del lavoro stesso) è invisibile e inquantificabile, dunque non viene remunerato. Come rifiutare allora il lavoro non pagato? Come si quantificano i desideri messi a lavoro, le relazioni? Come si quantifica il tempo speso per la ricerca del lavoro, la stesura del curriculum, i colloqui, le email, gli straordinari?
Si propone come strategia la nominazione e quantificazione. Quanti lavori non pagati fai?
Vi è poi la questione del reddito, sganciato dal lavoro attraverso la proposta del reddito di esistenza, universale, incondizionato, e non un assegno di povertà. Ma....vi sono perplessità. Il reddito garantito produce controllo da parte dello Stato? Il welfare non rischia di annullare le capacità di lotta sociale?
E' per questo che le donne devono entrare in relazione, fare rete. Vi è bisogno di reti di solidarietà che vadano oltre lo statale (nonostante vi siano posizioni differenti sul tema. Per alcune infatti la questione della solidarietà non basta per tutte: dal momento che permangono delle “classi” ). Dobbiamo lottare per nuovi diritti, per i nostri nuovi bisogni. Attraverso quali pratiche, quali le nostre necessità? Chi è il nostro interlocutore?

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