Ho una spiacevole sensazione sulla quale mi interrogo da ieri.
Sono uscita dall'incontro alla Sapienza (Libertà, lavoro e precarietà, Sguardi sulle differenze) chiedendo alle altre: “ma mi sono spiegata male?”, perché ovviamente capita anche questo. Ma in generale ho avuto l'impressione che ci fosse qualcosa che non andava. Ci sono stati, ad esempio, degli interventi in risposta ai due numeri di dwf rispetto ai quali mi dicevo “ma noi non abbiamo detto questo” (in un caso l'ho proprio chiesto: “ma questo viene fuori dalla lettura di dwf?” “nono” “ah.”).
Sta di fatto che i conti non mi sono tornati ed è anche un bene che talvolta non tornino. Però insomma mi dispiaceva, mi ha fatto anche un po' rabbia.
Stamattina mi si sono chiarite un paio di cose, che non risolvono, perché non è quello il punto, ma almeno mi hanno aiutata.
Errore mio, innanzitutto, non aver considerato il luogo in cui eravamo. “Viziata” dagli incontri alla Casa, a Livorno e così via, ho dato per scontate un sacco di cose, soprattutto – soprattutto: che diamo alle parole lo stesso significato, che quando le pronunciamo condividiamo gli stessi riferimenti, che quando parliamo le radichiamo nei nostri corpi e nella nostra esperienza. Desiderio, autenticità, politica, io, noi.
Il lavoro sul linguaggio, come il femminismo, ricomincia con ciascuna: talvolta può essere frustante, ma anche no.
sabato, 29 gennaio 2010
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