Sostiene questo Paese con idee, desideri, progetti, volontariato, azioni
concrete, scopre nuovi mondi e inventa il futuro. Eppure è sempre disoccupata,
in cerca di lavoro, precaria, senza stipendio.
Studia per dare il meglio di sé e migliorare le vite di tutti e di tutte, ma
una volta laureata è costretta ad andarsene.
E’ composta da giovani donne che vivono in un Paese ancora a misura di vecchi
modelli maschili, giovani donne che non trovano alcuna opportunità.
Produce ricchezza e non ha niente in cambio: i giovani operai perdono il
lavoro; i piccoli imprenditori sono costretti a chiudere l’attività.
Lavora ma in nero e sul lavoro rischia la propria vita e a volte la perde,
perché non ci sono tutele e perché allo Stato e alle imprese spesso non
interessa investire in sicurezza.
L’arricchiscono ragazzi nati in Italia da genitori immigrati in Italia e che
non sanno se in futuro saranno riconosciuti italiani.
Questa è la meglio gioventù del nostro tempo, la gioventù che detiene in
Europa il primato come Neet, l’acronimo in cui si ingabbia una generazione a
cui non viene riconosciuto quel che già fa o che non può più studiare,
lavorare, che non ha mai avuto l’opportunità di contribuire al cambiamento del
proprio Paese, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 36%.
In nome di questa generazione il Governo Monti propone una riforma
sbagliata, una truffa per tutti e in primo luogo per i giovani. In nome di
questa generazione le politiche di austerity del Governo e della BCE cancellano
il futuro di tutti, perpetuando lo stesso modello che ha alimentato le
disuguaglianze, che ci ha condotto alla crisi economica e al fallimento di un
intero continente.
Il disegno di legge sul mercato del lavoro presentato dal governo non
risponde ai problemi principali che affliggono la vita di una generazione
intera:
- lascia intatta la giungla delle 46 forme contrattuali, comprese quelle che
il Governo aveva annunciato di voler eliminare;
- non estende gli ammortizzatori sociali, visto che l’assicurazione per
l’impiego lascerà fuori buona parte dei lavoratori precari;
- non prevede nessuna forma di reddito minimo;
- scarica l’aumento di costo dei contratti a progetto sulle buste paga dei
collaboratori;
- rappresenta una beffa per le reali partite iva che dovranno pagare di
tasca loro l’aumento dei contributi.
Le tante promesse del Governo non sono state mantenute, così i giovani sono
diventati il pretesto per precarizzare chi ha ancora un contratto stabile,
altro che tutelare i precari!
Si è cercato, in questi anni, di dividere i padri dai figli, le madri dalle
figlie, i “garantiti” dai “non-garantiti”. Noi pensiamo che ci siano oggi, come
ieri, i ricchi e i poveri, chi vive di sfruttamento e speculazione e chi vive
di lavoro. Per questo vogliamo mobilitarci assieme ai nostri padri e alle
nostri madri, perché vogliamo unire due generazioni nella difesa dei diritti e
nella lotta contro la precarietà, perché non è vero che non c’è alternativa
alla disperazione attuale. I suicidi di questi giorni ci parlano di questo:
quando si parla di “salva Italia” bisognerebbe pensare a quelle vite spezzate e
alle tante solitudini che la precarietà e le disuguaglianze hanno creato.
La precarietà non è un’emergenza del mercato del lavoro, è il più grande
attacco alla democrazia italiana degli ultimi decenni. La precarietà significa
essere costretti a sopravvivere e si manifesta nella fotografia del diritto
allo studio negato, delle scuole che crollano, dell’aumento delle tasse
all’università, dell’impossibilità di scioperare o dire no di fronte a un
sopruso sul lavoro, di non poter amare la nostra compagna o il nostro compagno,
di pagare un affitto o comprarsi una lavatrice ed essere indipendenti, così
come lo sono i giovani nel resto d’Europa.
Per noi la precarietà è il messaggio che da vent’anni una classe dirigente
ci trasmette: andatevene. Noi vogliamo restare, cambiare le nostre vite e dare
un presente al nostro Paese.
Vogliamo poter dire che il nostro problema è la precarietà e l’impossibilità di
costruirci un futuro. Ancora prima del posto fisso e dell’articolo 18, ci
interessa costruire un paradigma diverso, un altro modello di sviluppo e un
welfare diverso, che ricomponga le sue basi sui principali diritti di
cittadinanza.
Abbiamo proposte migliori di quelle del Governo. Noi chiediamo di investire
su Università e Ricerca, di riconvertire ecologicamente il nostro sistema
industriale per creare buoni e nuovi posti di lavoro.
Chiediamo un modello di welfare universale, finanziato dalla fiscalità generale
e da una patrimoniale che colpisca chi finora non ha mai pagato la crisi:
rendite parassitarie, profitti finanziari, grandi capitali. Un welfare che si
faccia promotore e fattore di crescita, personale prima che economica, e
insieme garanzia di diritti e tutele.
Chiediamo che venga bandita sul serio la truffa della precarietà. Ad un
lavoro stabile deve corrispondere un contratto stabile e i diritti fondamentali
devono essere estesi a tutte le forme di lavoro: l’equo compenso, il diritto
universale alla maternità/paternità e alla malattia, i diritti sindacali, il
diritto ad una pensione dignitosa, la continuità di reddito nei periodi di non
lavoro, la formazione continua.
Chiediamo infine un reddito minimo, fatto di sussidi e servizi, per garantire
la dignità della vita e del lavoro com’è in tutti i paesi europei (e come
definito nella risoluzione del Parlamento europeo 2010/2039, approvata a
larghissima maggioranza il 20 ottobre scorso).
E’ necessaria una grande mobilitazione contro la precarietà, per il reddito,
per i saperi e per l’estensione dei diritti e delle tutele: per un Paese
diverso e per una nuova idea di cittadinanza, fuori e dentro il lavoro.
L’alternativa è il cambiamento, non il mantenimento di pochi diritti e o la
versione soft ma non meno triste della precarietà.
Vogliamo un altro Paese e un’altra politica. E vogliamo dirlo noi, non lasciamo
più che siano altri a farlo.
Scendiamo in piazza il 26 maggio. Per riprenderci il nostro Paese. Noi, la
meglio gioventù del nostro tempo precario.
Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta.
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