C’è da chiedersi se l’indignazione non sia diventata parte integrante del sentire politico del nostro paese, perché è già la seconda volta in un anno che in Italia si scende in piazza in difesa di una "dignità violata". Domani ci saranno marce e assemblee pubbliche di quelli che a pochi mesi dalle primavere nordafricane e dal fenomeno spagnolo degli Indignados, e a qualche settimana di distanza dalla nascita dell’Occupy Wall Street americano, si son conquistati l’etichetta di indignati italiani. Quasi una risposta all’ansia mediatica dei giornali che negli ultimi mesi non hanno fatto che titolare: "Perché in Italia non ci sono gli indignati?" e "Dove sono gli indignati italiani?". Del resto lo sappiamo, da noi soprattutto funziona così, si ragiona per categorie e compartimenti stagni. I bamboccioni, i fannulloni, gli invisibili, i precari, i no-global, i black block… Stavolta all’appello gli indignati mancavano proprio, e così, ecco pronta la risposta: gruppi di persone, cittadini attivi, molti già attivi da tempo in un processo di riappropriazione degli spazi e della partecipazione politica, hanno deciso di cedere al richiamo e indossare l’abito richiesto per rendersi titolari della protesta. Alcuni di loro, dopo riunioni e assemblee di piazza hanno firmato e diffuso un appello per le manifestazioni del 15 ottobre – che coinvolgeranno in contemporanea 911 città del pianeta -, altri hanno manifestato la loro adesione alla giornata specificandone i motivi, spesso differenti e variegati rispetto all’appello circolato in rete a firma degli 'indignati italiani', criticato anche perché "l'alternativa" sembrava più uno slogan che un fatto.
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