mercoledì 18 dicembre 2013

Diritto universale alla maternità. La misura di un corpo che si espande


Il senso di te è (sempre) altrove, è tessitura di tutte le cose che devi rinnovare continuamente, non c’è un luogo che è il centro da cui tirare le fila, forse per questo siamo tanto attaccate alla politica

Ma se la politica delle donne è politica delle relazioni, si fa necessario un altro spostamento, o forse bisogna renderlo esplicito per praticarlo fino in fondo. Partire dall’esperienza della maternità, come desiderio solo di alcune e non di tutte, ci aiuta a dirlo. Vogliamo o non vogliamo diventare madri, la maternità ci riguarda e ci compete. I nostri corpi possono generare. Siamo fatte di un corpo che è fertile.
Il fatto che la maternità non sia un desiderio di tutte, non implica che sia una questione solo di alcune, a patto che si renda concreto quel che intravediamo ancora latente: potenziare il proprio desiderio in relazione a quello delle altre.
Questo passaggio, che di fatto non si è ancora dato, e va inteso come un invito, comporta che la maternità non sia una questione soltanto di chi la desidera, ma di tutte le donne, e per estensione di tutti.

Pensiamo a un diritto che metta al centro i corpi, per aprire spazi e liberare tempi per tutti. Un diritto universale alla maternità, che parla a tutte e tutti. Perché l’esperienza della maternità, se pensata oltre la singolarità, orienta a lasciare uno spazio a un altro da sé, che modifica, sposta, apre a nuovi orizzonti, senza cancellare ciò che c’era prima. Riconoscere un diritto a partire da qui, è riconoscere un tempo ed uno spazio non produttivi nel senso capitalistico del termine: è riconoscere un tempo riproduttivo, generativo, dedicato alla cura, di sé, dell’altro.




1 commento:

  1. Bellissimo dossier sui papà nell'ultimo numero di Focus... Ve lo consiglio...

    RispondiElimina