Diversamente occupate aderisce alla campagna reddito minimo per tutte e tutti per una proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Reddito Minimo Garantito
Se siamo diversamente occupate è perché siamo lavoratrici e non solo, precarie e non solo, impegnate in occupazioni in cui mettiamo passione e responsabilità e da cui raccogliamo condivisione e pratica politica, non soldi, non riconoscimento sociale, non potere. Se siamo diversamente occupate è perché siamo partite dal lavoro per toglierlo dal centro, per ridefinirne i contorni, il ruolo nelle nostre vite, i modi e i tempi, le condizioni, dentro e fuori. Una di queste condizioni è il reddito, mediamente basso, da precarie appunto, sale o scende a seconda del tempo che investiamo nel lavoro retribuito e delle capacità di negoziazione con i vari datori di lavoro, ma non è solo questo. Il denaro, se intorno a noi tutto è privato, privatizzato o privatizzabile, non basta: è il reddito indiretto, sono i servizi pubblici, che ci permettono di migliorare le condizioni di vita, anche con un reddito diretto basso. Trasporti, sanità, scuola e università, cultura.
Dicevamo, al convegno Iaph Italia “Lavoro o no? Crisi dell’Europa e nuovi paradigmi della cittadinanza”, se ci centriamo sul nostro presente, ci sembra che in un contesto di smantellamento del welfare e nella pressione di un lavoro che mentre ti sfrutta sembra l'unica strada di libertà, quello di cui abbiamo bisogno sia ricreare le condizioni per quella libertà prescindendo dal denaro. Pensare che sia possibile fare una serie di cose, avere possibilità, spazi di libertà, senza passare per lo scambio economico, ma attivando altre forme di scambio, e quindi relazioni, costruzione di spazi condivisi. Se dovessimo concretamente quali sono queste condizioni, diremmo servizi, diritto all'abitare, diritto all'istruzione, alla mobilità, alla cultura, alla salute, e più in generale diritto a un tempo fertile sottratto alle regole della produzione, non produttivo ma generativo. Tempo di condivisione, di studio, di pensiero, di relazione, di mobilitazione, che alla fine rende possibile liberare anche il tempo del lavoro.
Da qui ci ponevamo delle domande anche rispetto al tema del reddito: Se il reddito servisse solo a rendere visibile, a riconoscerci, il di più che a lavoro portiamo, che ne sarebbe di tutto ciò che cade fuori dal concetto di produzione – materiale o immateriale che sia - come la intendiamo oggi? Le donne sanno che se i diritti vengono agganciati al lavoro, ci può essere sempre qualcuno che potrà dirti che il tuo non è lavoro, o è lavoro di serie b e quindi minare anche la cittadinanza.
Se la cittadinanza passa anche dal riconoscimento di un reddito minimo garantito che sgancia la nostra libertà dalle condizioni di lavoro lo facciamo nostro, ma con una riserva: che non sia strumento sostitutivo di quello che si fa in comune, di quello riproduce lo spazio del comune.
Il reddito senza welfare ci pone in una condizione di isolamento, perché il reddito rischia di sostituire una serie di attività e relazioni che riproducono la comunità. Queste attività devono essere sottratte alla dimensione della moneta. Sono proprio queste attività che caratterizzano il tempo come fertile e ricreano spazi di libertà.
vi scopro con interesse e con gioia e mi sento meno sola. Anche io sono una diversamente occupata e scoprire questo blog è bello.
RispondiEliminaCarolina
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