mercoledì 11 gennaio 2012

Il nostro tempo è adesso. Un decalogo per liberarci della precarietà

Durante l'assemblea nazionale del 19 e 20 novembre scorso, il comitato "Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta", ha discusso ed elaborato un decalogo contro la precarietà, lavorativa ed esistenziale.

Dieci proposte, risposte concrete, costruite attorno ad esperienze, desideri e volontà di diverse generazioni costrette a (non) vivere un mondo del lavoro profondamente precario ed un sistema sociale latitante.

Uno dei punti del decalogo, quello a noi più caro, è:

MATERNITÀ E PATERNITÀ. DIRITTI UNIVERSALI



La precarietà è il vero contraccettivo del nostro tempo.
Non è un paese per madri quello che abitiamo. Né per padri. Sembra essere solo un paese per figli. Figli precari di genitori vecchi che con i loro risparmi tappano i buchi di un welfare che non c'è. Non c'è neanche per chi vuole diventare madre e non ha un contratto di lavoro che le garantisca un sostegno in caso di gravidanza. Non c'è per i padri con contratti precari che vogliano dedicare del tempo ai loro figli.
Vogliamo che la maternità diventi un diritto universale che prescinde dal contratto di lavoro e che si tramuti in sostegno al reddito e servizi. Vogliamo che la maternità sia sostenuta per tutte: chi lavora, chi non lavora, chi sceglie di non lavorare. E anche la paternità.
Vogliamo che le donne che scelgono di diventare madri non vivano nel ricatto: dimissioni in bianco, contratti non rinnovati e interruzioni del rapporto di lavoro mettono le donne di fronte all’aut-aut vita-lavoro. Vogliamo che le donne e gli uomini che desiderano avere figli lo possano fare liberamente, anche se non hanno un lavoro, anche se non hanno un reddito.


Un Paese che rende liberi le donne e gli uomini di scegliere la maternità e la paternità è un Paese libero. Un Paese che ostacola la vita e il lavoro di quelle donne e quegli uomini che scelgono di mettere al mondo un figlio è un Paese che fonda la propria società sul ricatto: l’aut-aut tra vita e lavoro di fronte al quale sempre più donne e più uomini si trovano quando sentono il desiderio di diventare genitori.
Non posso rimanere incinta, mi licenzierebbero” “Non posso fare figli ora, non mi assumerebbe nessuno” “Sono incinta ma non posso dirlo a nessuno, devo mettermi vestiti larghi, se si accorgono della pancia sono fuori”.
Esperienze che vivono le giovani donne in Italia, quelle stesse donne che ad un colloquio di lavoro si sentono chiedere, inevitabilmente, qual è la loro condizione sentimentale (sposata, fidanzata, convivente?), quali sono i suoi progetti per il futuro (vuoi avere figli a breve?). Quelle stesse giovani donne che si vedono escluse da una selezione perché “in età da marito e maternità”.
Questa, anche nel nostro Paese, è DISCRIMINAZIONE!
E quando si manifesta in ingresso o in uscita al mercato del lavoro ci pone nella condizione di essere il Paese europeo con un tasso di inattività femminile allarmante: 48,9% a settembre 2011 contro il 26,9% maschile (dati Istat). Questo vuol dire che quasi una donna su due non rientra né nella fascia delle occupate né in quella delle disoccupate perché non lavora né è in cerca di un posto. Troppe sono le donne che si ritrovano a dover rinunciare al lavoro per mettere su famiglia. Troppe quelle donne che rinunciano al proprio lavoro perché pagare l’asilo nido privato o la babysitter equivale a guadagnare zero. Ancora troppe quelle donne che si vedono costrette a firmare le dimissioni in bianco.
Una condizione di discriminazione che si amplifica e si aggrava quando le donne lavoratrici sono precarie, soggette non solo al ricatto di non vedersi rinnovato il contratto se scelgono di diventare madri, ma poste in una condizione di diseguaglianza rispetto alle lavoratrici dipendenti perché spesso non raggiungono i criteri stabiliti dalla legge per un sostegno alla maternità. Lo stesso vale per gli uomini lavoratori precari che non godono del diritto ai congedi parentali come i colleghi subordinati.
L'attuale legislazione sulla maternità è modellata sulla donna lavoratrice dipendente, e non corrisponde più alla realtà: il 43% delle donne con meno di 40 anni non accede ai diritti delle lavoratrici “standard”, percentuale che sale al 55% per le donne con meno di 30 anni.
La maternità e la paternità devono diventare diritti universali, che prescindono dal contratto di lavoro.

Noi chiediamo che:
  • venga reintrodotta la legge 188 del 17 ottobre 2007 contro le dimissioni in bianco, votata all’unanimità alla Camera, che il governo Berlusconi ha abrogato nel giugno 2008. La legge aveva una funzione preventiva: le dimissioni volontarie, per qualunque tipologia di rapporto di lavoro, dovevano essere date esclusivamente su moduli numerati progressivamente. Avendo una scadenza di quindici giorni, i moduli non potevano essere compilati prima del loro utilizzo.
  • sia rispettata la direttiva europea 96/34/CE che impone agli Stati membri e/o alle parti sociali di prendere le misure necessarie per proteggere i lavoratori dal licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale.
  • siano giustificate e vigilate le rescissioni di contratto e/o i non rinnovi di contratto per le lavoratrici con figli piccoli; che siano sanzionati i datori di lavoro.
  • siano estesi a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, a prescindere dal contratto di lavoro, le disposizioni sul “congedo di maternità” (astensione obbligatoria dal lavoro per la lavoratrice), sul “congedo di paternità” (astensione del lavoratore dal lavoro in alternativa al congedo di maternità) e sui “congedi parentali” (astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore) per il sostegno della maternità e della paternità previste dalla legge n. 53 dell’8 marzo 2000.
  • Per le lavoratrici autonome e parasubordinate deve essere previsto un diverso calcolo dell'indennità di maternità erogata dall'INPS che attualmente è molto penalizzante poiché si basa sull'80% di una media dei compensi ricevuti nell'arco di un anno divisi per 12 mesi, inclusi anche i periodi di non lavoro. Inoltre l'indennità di maternità deve essere come per i dipendenti erogata mensilmente e non alla fine del periodo di astensione.
  • Vanno adeguate le normative sull'astensione facoltativa: le lavoratrici parasubordinate possono oggi usufruire dell'indennità per l'astensione facoltativa (successivamente ai 5 mesi di astensione obbligatoria). Allo stesso tempo però non è previsto il diritto a sospendere il contratto per i mesi di astensione facoltativa e la lavoratrice rischia di vedersi rescisso il contratto di lavoro.
  • Oltre alla garanzia dell'indennità prevista per le lavoratrici madri iscritte all'INPS, deve essere introdotto un assegno di maternità universale, ossia importo da corrispondersi per cinque mesi a tutte le madri, indipendentemente dal fatto che siano dipendenti o autonome, stabili o precarie, che lavorino o non lavorino ancora.
  • Bisogna infine intervenire a sostegno delle dipendenti a tempo determinato degli enti pubblici che spesso sono pagate con progetti esterni e vengono ingiustamente caricate dell'onere di reperire i fondi necessari per far pagare all'Ente l'indennità di maternità (infatti per gli enti pubblici non è previsto il rimborso dell'INPS).
E' necessario inoltre approfondire le modalità con cui le libere professioniste debbano esprimere la loro libertà di scelta sull’astensione dal lavoro in caso di maternità, la gestione dei tempi da dedicare a sé e ai figli mantenendo la continuità lavorativa che il settore in cui opera le richiede, garantendo loro l’indennità di maternità in entrambi i casi, astensione o meno.

Leggi il decalogo

Per aderire inviare una mail a: info@ilnostrotempoeadesso.it

2 commenti:

  1. Donne forti, per COSTITUZIONE! guardate lo sport censurato dalla rai!

    http://www.youtube.com/watch?v=ftN1vgpovpQ

    RispondiElimina
  2. la censura è uno dei modi di mettere in evidenza fino a che punto non si è pronti a dare una risposta ad alcune verità e ad alcune domande pregnanti!

    Grazie per il link al video :)

    RispondiElimina