Ma se la politica delle donne è politica delle relazioni, si fa
necessario un altro spostamento, o forse bisogna renderlo esplicito
per praticarlo fino in fondo. Partire dall’esperienza della
maternità, come desiderio solo di alcune e non di tutte, ci aiuta a
dirlo. Vogliamo o non vogliamo diventare madri, la maternità ci
riguarda e ci compete. I nostri corpi possono generare. Siamo fatte
di un corpo che è fertile.
Il fatto che la maternità non sia un desiderio di
tutte, non implica che sia una questione solo di alcune, a patto che
si renda concreto quel che intravediamo ancora latente: potenziare il
proprio desiderio in relazione a quello delle altre.
Questo passaggio, che di
fatto non si è ancora dato, e va inteso come un invito, comporta che
la maternità non sia una questione soltanto di chi la desidera, ma
di tutte le donne, e per estensione di tutti.
Pensiamo a un diritto che metta
al centro i corpi, per aprire spazi e liberare tempi per tutti. Un diritto universale alla maternità,
che parla a tutte e tutti. Perché l’esperienza della
maternità, se pensata oltre la singolarità, orienta a lasciare uno
spazio a un altro da sé, che modifica, sposta, apre a nuovi
orizzonti, senza cancellare ciò che c’era prima. Riconoscere un
diritto a partire da qui, è
riconoscere un tempo ed uno spazio non produttivi nel senso
capitalistico del termine: è riconoscere un tempo riproduttivo,
generativo, dedicato alla cura, di sé, dell’altro.
Leggi l'intero articolo: Diritto universale alla maternità dal libro "Come un paesaggio. Pensieri e pratiche tra lavoro e non lavoro", a cura di Sandra Burchi e Teresa di Martino, Iacobelli, 2013
Bellissimo dossier sui papà nell'ultimo numero di Focus... Ve lo consiglio...
RispondiEliminaVery tthoughtful blog
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