Evelyne Sullerot da La donna e il lavoro (Etas Kompass 1969)
Questo libro è dedicato a tutti coloro che, uomini e donne, professano sul lavoro della donna opinioni totalmente concluse o assolute: sia che lo deplorino come una mostruosa caratteristica dei giorni nostri sia che ne facciano una sorta di toccasana, o la sola strada aperta oggi alla donna, senza vederne la difficoltà. Più in particolare, questo libro è dedicato a tutti quelli che usano ripetere: “ora che la donna lavora…”.
Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al capitalismo, privato e di stato, di sussistere.
Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla egemonia dell’efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia immunizzata.
La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un’altra cosa. Ci basta la parità salariale quando abbiamo già sulle spalle ore di lavoro domestico?
La parola “signorina” trasmette una vibrazione sessuale; e può darsi che il sesso porti con sé un aroma speciale. La parola “signorina” suggerisce forse un fruscio di sottovesti, lascia una scia di profumo, o emana qualche altro effluvio percettibile alle narici al di là della parete divisoria e ad esse odioso. Ciò che delizia e consola tra le pareti domestiche può darsi che distragga o esasperi in un ufficio pubblico […] se un nome è preceduto dalla parola “signorina” con ogni probabilità, a causa dell’odore che essa emana, continuerà a aggirarsi nelle sfere inferiori, dove gli stipendi sono più bassi, invece di ascendere alle sfere superiori dove gli stipendi sono alti.
Ciò che fa la differenza è il continuo lavoro sul piano del simbolico, che è il dono che la politica della differenza sessuale ha portato anche nella vita del lavoro e che fa sì che non ci sia separazione tra sapere e lavoro, tra sapere e fare. Oggi siamo in una contraddizione in cui possiamo patire la sofferenza per una trasformazione economica e sociale che, probabilmente, porterà con sé molte nuove occasioni di peggioramento della vita di molte e di molti. Ma siamo anche in presenza di una ricchezza che possiamo spendere per far sì che, là dove siamo, questo peggioramento non sia inesorabile e per far sì che laddove c’è femminilizzazione non ne venga estirpata la radicalità, cioè il segno della differenza. Questa ricchezza è la fedeltà alla predilezione femminile per non separare il sapere fare il pane (e provarne piacere) e il sapere fare filosofia, fare simbolico (e provarne piacere)
…là dove l’inserimento delle donne non ha cancellato la differenza sessuale, là dove questo inserimento non è stato solo omologazione con il modello maschile, là dove le donne hanno potuto rendere significativa la loro cultura del lavoro, là si sono sviluppate modalità di lavoro e valori che possono rappresentare alternative reali all’attuale organizzazione del lavoro: forme orientate non solo alla produttività ad ogni costo ma ai bisogni umani, alla cooperazione, alla capacità comunicativa e agli aspetti relazionali.
Un giorno, a tavola con persone istruite e impegnate, il discorso andò sull’ecatombe di giovani uomini che è stata la Prima guerra mondiale, e io vi aggiunsi una riflessione sull’immane, calpestato lavoro delle donne che li avevano messi al mondo e cresciuti, al che l’uomo che stava a capotavola tacque e poi dichiarò il suo stupore di pensatore marxista: “Non ci avevo mai pensato”.